GIACINTO FACCHETTI

Giacinto Facchetti nasce a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 18 luglio 1942. Un giorno Helenio Herrera guardando una prova non soddisfacente di un terzino, disse: "Questo ragazzo sarà una colonna fondamentale della mia Inter". Era il 21 maggio 1961 e Facchetti era al suo esordio assoluto in serie A (Roma-Inter 0-2). Non aveva convinto troppo in quel suo primo incontro, ma quella profezia si rivelò azzeccata, il Mago aveva visto bene.

Alla Trevigliese Giacinto Facchetti non era terzino, bensì attaccante, ma una volta arrivato in nerazzurro il Mago lo piazzò in difesa, aveva il dono dello scatto ed il Mago era proprio l'arma in più che cercava: un terzino che diventava all'improvviso ala, avanzando verso la porta rivale.
Inatteso goleador oltre che forte nei recuperi, Facchetti si fece subito un nome nella compagine nerazzurra ed iscrisse il proprio nome in tutte le prodezze degli anni d' oro della Grande Inter.
Inventò il ruolo di tersini fluidificante e dal suo avvento in poi si incominciò a dire che per il laterale sinistro c'era un prima e un dopo Facchetti. La sua repentina ascesa fu presa in considerazione anche dal nuovo Commissario Tecnico della Nazionale, Edmondo Fabbri, che lo chiama per le qualificazioni della della Coppa Europea per Nazioni il 27 marzo 1963 contro la Turchia ad Istanbul (vittoria per l' Italia 1-0). Per il suo primo gol in azzurro deve aspettare 20 mesi, sbloccando il risultato al primo minuto della gara ad eliminazione con la Finlandia, finita 6-1 per gli azzurri.
La annata 1963 é veramente epica: con 49 punti, 4 di vantaggio sulla Juventus, 19 vittorie, 11 pareggi e 4 sconfitte, 56 gol fatti e 20 subiti, l'Inter vince lo scudetto ed arriva l'anno successivo in finale di Coppa Campioni, trovandosi di fronte il Real Madrid e battendolo con due gol di Mazzola ed uno di Milani. Dopo batte anche l'Independiente di Avellaneda in tripla finale (0-1, 2-0, 1-0 a Madrid) ed é Campione del Mondo. Il terzino bergamasco riceve lodi in tutte le lingue e desta grande curiosità per il suo impiego in un ruolo difensivo dove si è abituati ad interpetrarlo in altra maniera.

Nel 1965 l'Inter continua a vincere ancora, riconquistando il titolo nazionale dopo la beffa subita dal Bologna nella stagione scorsa, la coppa dei Campioni contro il Benfica e la Coppa Intercontinentale ancora sull'Independiente, stavolta in doppia finale (3-0, 0-0).
Tre lunghezze sul Milan, 54 punti, 22 vittorie, 10 pareggi e due sconfitte, 68 gol fatti 29 subiti, questi i numeri del campionato.

L'Inter di Facchetti si ripeterà di nuovo anche nel 1966 e con 50 gol, 20 vittorie, 10 pareggi e 4 sconfitte, 70 gol fatti e 28 subiti s'incorona ancora una volta campione d' Italia.

Nell' Inter, oltre ai trionfi, c'era un fattore negativo: la novità della sua posizione lo fa soffrire una strana dualità con Sandro Mazzola e se uno dei due non segna, si comincia a parlare di crisi. Come se non bastasse questo tormentone, i rapporti tra lui e Fabbri si incrinano. Scoppia tutto dopo un amichevole, giá ottenuto il biglietto per i mondiali inglesi del 1966, uno 0-0 con la Francia che sollevò le ire dei tifosi. Era il momento propizio per far sí che il gruppo interista emarginato come blocco dalla nazionale di Fabbri, passasse proprio allora al contrattacco. Il CT sosteneva di non poter trapiantare un modulo senza il giocatore cardine - Suarez - e i giocatori (Corso e Facchetti in primis) si lagnavano delle scelte del tecnico romagnolo. “Il vero calcio italiano é quello dell’Inter e non quello della Nazionale italiana”, dichiara alla stampa francese un - a dir poco - insoddisfatto Facchetti, e spiega il motivo della sua astinenza dal gol in Nazionale, la sua specialità cardine “perché il signor Fabbri ci proibisce di andare avanti. Lui vuole solo pareggiare, e con i soli pareggi non arriveremmo da nessuna parte in Inghilterra”.

Mai più profetiche furono le parole di Facchetti. "Giacinto Magno", come lo chiamò Brera, ebbe dura vita ai mondiali inglesi, specialmente di fronte al russo Cislenko, l'ala che segnó la rete della vittoria dell'Urss, e non meno contro i coreani che causarono la caduta sportiva piú vergognosa del calcio italiano, ma anche questa volta risorge. Dopo la Corea, é fatto capitano a soli 24 anni e riprende con la solita forza la sua strada.

Mentre l'Inter nel 1967 andava incontro a Mantova e falliva a conquistare una storica tripletta in Coppa dei Campioni perdendo contro il Celtic in finale, Facchetti avanzava verso la gloria mondiale. E se qualcuno prima dubitava del suo ruolo, e parlava di crisi e della cosiddetta "alimentazione di guerra", presto dovette ricredersi. La rivincita giungerà sotto forma della prima e sin qui unica Coppa Europea per Nazioni vinta dall'Italia (1968).
Una Coppa caratterizzata dall' azzardo, una semifinale giocata sul lancio della monetina che Facchetti stesso scelse. Capitano nel bene e nel male, dunque, è tra i giocatori di rilievo ad aver giocato in tutte e tre le Nazionali: Giovanile, B (1 partita ognuna) e naturalmente A.
In Messico, nel 1970, sembrava la volta buona per mettersi in mostra. Smarrito all'inizio come la maggioranza degli azzurri per l'altitudine, la pressione e il caldo, via via il suo gioco andò migliorando, e anche se la finalissima finì con un 4-1 sfavorevole agli azzurri, potè ritornare in patria con l'orgoglio rifatto. Tra i tanti della Corea che volevano rivincita, Facchetti fu uno che agli occhi di tutti è cresciuto e rinato.

Anni dopo ricorderà questa altalena: "Mi volevano condannare all' ergastolo quando ci sconfisse la Corea ai Mondiali d'Inghilterra, e quattro anni dopo, quando vincemmo sulla Germania per 4 a 3 in Messico, raggiungendo la finale con i brasiliani, la polizia dovette fare un operazione di sicurezza per evitare che i tifosi prendessero me e mia moglie e ci portassero in trionfo. Comunque, fra dei tanti difetti, il calcio é una delle poche cose che all'estero fanno parlar bene degli italiani".

La vecchia guardia interista chiude il ciclo con Herrera: vincerà uno scudetto con Invernizzi nel 1971 ma non sarà mai la stessaa cosa. Giacinto ammira il Mago oltre ogni limite: la visione e la competenza del suo allenatore lo esaltano. Ne diventa amico, ne canta le imprese, resta affascinato della maniera di affacciarsi al gioco che ha il grande H.H. E Facchetti si avvia alla ancora una volta alla ripartenza.

I Mondiali di Germania sembra che siano il suo canto del cigno, attorno a lui, all'Inter e nella Nazionale i compagni di molte battaglie vanno via oppure si ritirano. Ma lui resta, consapevole di poter ancora smentire chi lo definisce vecchio e finito. Nella metà degli anni settanta, Facchetti chiede a Luisito Suarez, diventato ne frattempo allenatore dell'Inter, di provare a fargli fare il libero. Lo spagnolo è convinto delle qualità del suo antico compagno: un libero mobile, plastico, anche se un po' troppo "buono" per i suoi gusti, alla fine accetta e ne nasce un grande libero. In questa veste riconquista il posto di diritto e, incredibilmente, ritorna in Nazionale per arrivare al suo quarto mondiale.

Ma arriva un intoppo: giocando con l'Inter Facchetti s'infortuna, stringe i denti, torna, anche se non in piena forma e non guarito del tutto. Quando Bearzot chiama i 22 per andare in Argentina, in un atto di grande sincerità sportiva, il capitano gli fa sapere di non stare nella forma migliore e chiede al tecnico di scegliere un altro al posto suo. In Argentina andò ugualmente, l'Italia arrivò quarta e per lui fu la prima volta che ricoprì l'incarico di dirigente accompagnatore.
Il 16 novembre 1977, con 94 partite da capitano azzurro, Facchetti lascia la Nazionale con questo record. Record superato in seguito da Zoff, Paolo Maldini e Cannavaro.
L'addio al calcio arriva circa sei mesi dopo, il 7 maggio 1978, vincendo 2-1 sul Foggia.

Alla fine della sua carriera si nota che è stato espulso una volta sola, veramente un gran signore anche in campo.

Appese le scarpette al chiodo e dopo esser divenuto rappresentante dell' Inter all' estero, divenne Vicepresidente dell'Atalanta, per poi tornare dai nerazzurri di Milano durante la presidenza di Massimo Moratti col il ruolo di Direttore Generale. Divenne Vicepresidente dell' Inter dopo la morte di Giuseppe Prisco e, infine, Presidente il 19 gennaio 2004, dopo le dimissioni di Massimo Moratti. Colpito da un male inguaribile, si spegne a Milano il 4 settembre 2006, a soli 64 anni.